giovedì 6 ottobre 2011

Narrazioni: ogni vita merita un romanzo

"Ogni stanza merita un romanzo "
di Teresa Cella

Adele aveva quasi terminato di dare nuova forma alla sua stanza, dopo una settimana di giovani imbianchini di famiglia , mobili spostati e traslocati, nuovi decori riciclati da altre pareti della casa.Era inizio di ottobre ed il tempo era splendido, il cielo terso e il vento calduccino ad accarezzare la pelle.
Aveva scelto di ridipingere la stanza quasi color del cielo, come era stata negli ultimi quindici anni; questa volta però con una vena di marezzatura:l' azzurro del cielo si prolungava e si adagiava nell' azzurro cielo delle pareti, tra pause di bianco pieno, quasi VUOTO...Adele era buddista , da poco, ma anche da molti anni. Quanto basta per sottolineare il vuoto sulle pareti e la stanza che stava per lasciare VUOTA.

Già, era così : quella rinfrescata straordinaria e dovuta a una parte della casa era quasi un bardo, un passaggio, la fine di un' epoca , l' apertura di un' altra. Era quasi certa che non sarebbe più toccato a lei occupare quella camera, forse proprio mai più, forse solo per un lungo periodo: bisognava aprirsi ad altri ospiti in casa.Altre storie, altre persone, altri altre con cui incontrarsi e confrontarsi.

Era toccata nel più profondo del suo intimo, Adele, quel pomeriggio:aveva lustrato tutto, salvo i pensieri di tristezza e le ultime cose estratte dal cassettone del primo novecento e lasciate alla rinfusa sul divano letto chiuso, pronto, impeccabile.Venti anni e qualche spicciolo di vita condivisa in quella stanza ed altri venti anni e spiccioli di un' altra vita, di altre vite in quella stanza:la costruzione era del '68 .
Adele aveva 17 anni nel '68 e viveva nel quartiere.Forse aveva anche visto costuire il palazzo, ma non lo ricordava.
Nella sua mente si accalcavano i ricordi personali e quelli dei suoi due bambini : la stanza , inizialmente , era stata consacrata camera dei bambini...poi c' era stato un interregno e uno scambio di territori:era diventata la sua stanza , ma continuava ad ospitare un bell' armadio parigino, con specchio e corniche a vista, a nascondere la sua ultima vocazione di armadio dei giochi.

Poi era diventata la stanza del figlio grande , già adolescente, già giovane , già inn-amorato e già in-guaribilmente ammalato.Per anni la stanza aveva sofferto della sua sofferenza e gioito delle sue gioie, piccole, grandi che fossero..ed anche quel divano. Anni di chemioterapia e di amore, di stanchezza e di giochi con i cani che si succedevano,di telefonate notturne interminabili e sortite disco con gli amici ad hoc , di valigie sempre pronte e libri e dischi mescolati. Poi , un giorno di ottobre del 2004, M. era partito per Parigi, ad occupare altre stanze, altri tempi di vita..e la stanza era rimasta quasi vuota ad aspettarlo.

No, anzi no. Adele l' aveva occupata subito, senza trasformarla, senza ritoccarla : il ritocco e la trasformazione sarebbe avvenuta l' anno successivo, sempre di ottobre , quando M. era passato ad altre impalpabili stanze.
Era tornata ad essere una stanza per donna , la stanza: mobili pochi, anzi pochissimi, quadri e affiches , un arazzo tuareg, niente tende, pochi libri, niente musica.

Ed ora questo nuovo passaggio: un bardo, qualcosa che muore e che si trasforma , ancora una volta, ancora una volta l' incertezza.
Niente di più.
Niente altro.

NOTA :
sono due giorni che" mi urge" dentro codesta storia.

La scrivo sul blog e metto l' incipit su Fb a contributo del Laboratorio" NARRAZIONI: ogni vita merita un romanzo" , che Maria Grazia Brogi e la sottoscritta stanno attivando al Gavinuppia, il giovedì, dalle 19 alle 21.
Un invito a partecipare.